La “teoria dei rinforzi” è una teoria molto complessa che mi capita spesso di trattare durante i corsi che tengo a genitori ed insegnanti. Come ogni metodo educativo ha dei pro e dei contro che non devono essere sottavolutati. Come ogni metodo non è miracoloso. Mi capita spesso di sottolineare come in campo educativo non esistano formule magiche (purtroppo) e l’apprendimento di un comportamento non è mai veloce, facile e senza difficoltà.
Prima di tutto, è bene chiarire cos’è un rinforzo. Un rinforzo viene definito come una circostanza o evento piacevole che, seguendo un determinato comportamento, ne aumenta la ripetizione. In sintesi, il nocciolo della teoria è questo: se un comportamento (desiderato da noi adulti) viene rinforzato positivamente è più probabile che esso si ripeta e che, quindi, venga appreso e si consolidi all’interno del proprio bagaglio personale di azioni.
Esistono vari tipi di rinforzi: materiali (come cibo, regali, giochi…), sociali (apprezzamenti, lodi, riconoscimenti…), attivi (hobby, occupazioni interessanti o desiderate…), simbolici (oggetti che permettono l’acquisizione di altri per esempio punti premio). Più i tipi di rinforzi vengono variati e seguono il comportamento da rinforzare, tanto più sarà facile favorirne l’apprendimento.
Io personalmente, pur apprezzando il metodo, non ne sono una fanatica e ritengo che, pur valido, non se ne debba fare un uso smodato. Tra i suoi svantaggi vi è, infatti, quello di abbassare la motivazione intrinseca ovvero, detto più semplicemente, di spingere le persone a fare una cosa solo per ricevere il rinforzo e se questo manca, manca anche la spinta a mettere in atto il comportamento. Sono consapevole, però, che questo metodo può essere funzionale: ho visto molti colleghi utilizzarlo nelle classi con risultati davvero positivi. Una collega l’ha adottato addirittura durante la gestione della mensa e l’effetto è stato sorprendente. Anch’io l’ho usato occasionalmente e, quelle poche volte, ne sono rimasta soddisfatta.
Di norma non utilizzo rinforzi materiali come giochi o cibo, ma uso riconoscimenti come coccarde o badge ed attività che so piacevoli ed apprezzate (come giochi o momenti di attività libere). Costruisco delle tabelle (semplici, ma accattivanti) in cui risulta chiaro il comportamento che mi aspetto (di solito riguardano piccole azioni come il riordinare una stanza). Ogni volta che il comportamento viene messo in atto, faccio sì che la persona o le persone (a volte si tratta di gruppi di bambini) incollino sulla tabella un adesivo o facciano un disegno. Completata la tabella potrà o potranno avere un “premio”: una coccarda al valore, la lettura di una fiaba, un’uscita al parco…
La cosa che capita spesso è che i bambini sono così presi nel compilare la tabella che si dimenticano del premio finale.
Con Piccolo Furfante ho usato solo una volta questo metodo: quando doveva imparare ad usare il vasino all’asilo. Piccolo Furfante ha imparato l’uso del vasino a casa a 2 anni e impiegandoci solo due giorni. Come per ogni cosa, ogni bambino fa a sè e quello era il momento giusto per lui. Dato che ha imparato quando l’asilo era chiuso per le vacanze, al rientro a scuola Piccolo Furfante era un po’ disorientato e spesso capitava che, essendo l’unico della sua classe senza patello, non volesse andare in bagno con conseguente disastrose. Dopo averne discusso con le maestre, ho creato una piccola tabella in cui Piccolo Furfante potesse incollare, ogni volta che diceva alle meastre di dover andare in bagno, un adesivo dei Barbapapà (che lui adora!). Non era previsto nessun premio finale. Il solo poter incollare gli adesivi era per lui gratificante. Nel giro di 10 giorni il “problema vasino all’asilo” è stato risolto. Si divertiva però così tanto ad incollare gli adesivi, che siamo andati avanti comunque ad appiccicarli ogni giorno al rientro da scuola. Il gioco è durato finchè gli adesivi sono finiti.
Ho creato delle altre tabelle relative ad altri tipi di comportamenti come il lavarsi i denti, il vestirsi da solo, il riordinare… chissà magari tra un po’ mi potranno tornare utili.
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